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mercoledì 3 aprile 2013

Centri d'accoglienza chiusi: così i profughi occupano il villaggio olimpico



un gruppo di rifugiati che, trovatosi senza abitazione,
 occupa uno degli edifici dell'ex villaggio olimpico.
30 marzo 2013, l’Emergenza Nord-Africa è cessata, a decretarlo è il Governo.             

I centri di accoglienza chiudono, così da non poter offrire più ospitalità.

E’ questa la situazione che hanno dovuto affrontare i profughi stranieri, fuggiti dal Nord-Africa dopo la guerra in Libia, che avevano trovato rifugio in queste comunità fino ad ora.
Ora migliaia di migranti vagano senza nulla tra le mani, per le strade di numerose città d’Italia, sedi di questi centri di accoglienza chiusi; città come Torino, Siracusa, Savona, Catanzaro, Napoli.

Disperati, disposti a qualunque condizione pur di avere un tetto sotto cui stare, vanno alla ricerca di un edificio da abitare, di una casa.

Altri profughi, che vivono a Torino ormai da anni, testimoniano come siano arrivati anche presso gli edifici di via Bologna, corso Peschiera e via Chieri, speranzosi di trovare almeno lì un posto letto anche per loro.

Noi siamo al completo” testimoniano, “e abbiamo detto loro di andare da altre parti. Sapevamo che molte case del villaggio olimpico sono vuote e glielo abbiamo detto“.

Ed è così che centinaia di migranti hanno abbandonato i ponti e le strade in cui dormivano per muoversi verso il villaggio olimpico di via Giordano Bruno.

il villaggio olimpico, in via Giordano Bruno.
 La notizia si è diffusa in fretta, tramite un processo di 'tam-tam' attraverso comunicazioni telefoniche tra un profugo all'altro: gli edifici destinati agli atleti dei Giochi Olimpici del 2006 sono stati presto riempiti da nordafricani provenienti dalla regione, ma anche da fuori, da città italiane distanti kilometri e kilometri.

Attualmente sono circa 300 ad abitare le casette olimpiche, tutti con storie, e provenienze diverse; abbandonati in strada con la ricompensa di 500 euro che lo Stato ha messo in tasca ad ognuno, prima di liberarli dalle comunità; tutto questo, senza soluzione abitativa o lavorativa.

E senza neppure la possibilità di abbandonare il Paese, a causa della convenzione di Dublino.

«Ci siamo organizzati stando in strada finchè abbiamo potuto. - racconta Mohamed, 28 anni, profugo dal centro di Savona, ora nel villaggio olimpico, - poi alcuni di noi 45 hanno cominciato ad ammalarsi per il freddo e abbiamo cercato una sistemazione qui a Torino, dopo che degli amici ci hanno parlato di questo posto».
Di buono in tutto ciò c’è che almeno i torinesi della zona sembrano dimostrasi solidali nei confronti dei profughi, dichiarandosi intenzionati a destinare buona parte del cibo raccolto al Banco Alimentare in programma in questi giorni proprio a loro.

Lo considerano un buon aiuto, anche se non è una casa.

E il Comitato di Solidarietà con Profughi e Migranti indignato dichiara a proposito: “Avere una casa è il primo pilastro alla vita e alla dignità”.

E per adesso il villaggio olimpico sembra esserlo una “casa” per quelle centinaia di uomini, donne e bambini, o almeno potrà esserlo fino a quando il questore e il prefetto non arriveranno a sgomberarlo.
 
 
Qui sotto, il servizio di QuartaRete sul caso dell'articolo:
 
 
 
 
Lorenza Scrofani

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